Come ogni anno nel mese di
aprile il “Treno della Memoria” ha portato studenti italiani a
visitare i campi di concentramento nazisti. In particolare Auschwitz
e Birkenau. Dal Volta sono partiti in nove. Accompagnati dalla
professoressa Andreina Pruneddu.
Professoressa:
perché la scuola ha deciso di seguire questo progetto?
“E' un dovere morale.
Serve a insegnare ai giovani a ricordare; perché la memoria è
qualcosa di fragile che va continuamente riaffermato”.
E' la prima volta che
porta dei ragazzi sul “Treno”?
“No, l'avevo già fatto
nel 2008”.
Come giudica questa
esperienza?
“In modo molto positivo.
Questa volta era anche organizzato meglio”.
Può spiegare in cosa
consiste il “Treno della Memoria” ?
“E' un progetto per
giovani studenti. Consiste nel recarsi alla visita di Auschwitz e
Birkenau e da quest'anno anche del quartiere ebraico e del ghetto di
Cracovia, con annessa la visita alla famosa fabbrica di Schindler. Si
svolgono inoltre attività e discussioni e lavori con gli educatori.
Naturalmente ci sono anche momenti di svago per stare insieme. L'
unico neo: siamo sistemati in uno scomodo ostello”.
Pensa che questa
esperienza colpisca veramente i giovani?
“Sicuramente colpisce
chi è preparato e sensibile. Nel 2008 ebbi una esperienza negativa:
trovai alunni di un istituto professionale con un atteggiamento molto
scorretto: cicche di sigarette sui pavimenti dei lager, uso di droghe
e alcolici”.
Ritiene che anche gli
adulti possano essere colpiti da questa esperienza?
“Sì. Una mia collega si
è sentita male”.
Quest'anno ci sono stati dei cambiamenti su certi
aspetti del progetto, come ad esempio il viaggio in pullman e non in
treno (molti professori si sono rifiutati di accompagnare i ragazzi a
causa della scomodità del mezzo). Perché questi cambiamenti?“Le
solite ragioni economiche. Si è anche rischiato di non riuscire ad
attivare il progetto”.
Ecco ora l'esperienza
vissuta da uno studente. E' Giorgia Bramardi, classe IV C.
Perché hai deciso di
fare questa esperienza?
“Ne ho sentito parlare
dai ragazzi che l'hanno fatto l'anno scorso e mi ha colpito per come
la descrivevano: i loro occhi brillavano. Si capiva che erano tornati
soddisfatti e con una nuova consapevolezza. C'era una scritta: chi
non conosce la storia è destinato a riviverla. Andare, significava
essere testimoni di quello che molti ancora negano”.
Come giudichi quel che
hai vissuto?
“In
modo molto positivo. Tra le cose che mi sono piaciute di più c'è
il confronto tra noi compagni. Abbiamo parlato soprattutto della zona
grigia, cioè chi sapeva e non ha fatto
nulla. Abbiamo attualizzato il discorso collegandolo al razzismo”.
Ripeteresti il viaggio?
“Sì, è una cosa che
rifarei, ma non l'anno prossimo. Aspetterei qualche anno, perché
credo che se ci tornassi subito non proverei niente di nuovo. Invece,
con un diverso livello di maturità, penso che troverei qualcosa di
più e farei un'esperienza più ricca. È una cosa che consiglio, ma
solo a chi è veramente interessato. Non è una gita, è un modo
diverso di fare scuola”.
Secondo te perché la
scuola ha deciso che solo dal quarto anno si può partecipare a
questo progetto?
“Innanzi tutto, la
nostra scuola è una delle poche che offre questa possibilità anche
alle quarte. Nella maggior parte delle scuole possono partecipare
solo gli studenti dell'ultimo anno. Io personalmente credo che l'anno
scorso non mi sarei interessata al progetto. Credo che il programma
di storia aiuti”.
Una curiosità: perché
non si potevano fare foto?
“Come
ci hanno detto nella sala dei capelli, è una questione di rispetto.
Non eravamo lì per fare i turisti, ma stavamo entrando nella storia.
Per farci capire questo messaggio ci hanno fatto scegliere uno dei
deportati per rivivere tutto con lui. Alla fine abbiamo detto il suo
nome e la frase io ti ricordo”.
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